Tomo, Bombaci

enakapata3Gianni Tomo: Un libro da leggere tutto d’un fiato, un racconto fatto di tanta cultura e che accompagna il lettore verso tante riflessioni …
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Gianni Bombaci: Enakapata è stato per me un vero e proprio coup de foudre, libro di un viaggio da Secondigliano a Tokyo e al Riken, istituto di ricerca tra i più importanti del mondo, attraverso alcune stazioni: da quella del genoma dell’ape che, come afferma il pluricitato Piero Carninci, è “l’insetto più sociale che esista”, alla “fermata” degli RNA, produttori di proteine, e poi la trascrizione dei geni, Franco Nori, il Kabuki, le dimensioni delle camere d’albergo e delle case a Tokio che “Andrebbero bene per Cucciolo e Pisolo dato che tutti e sette i nani non ci vanno”, la numerazione dei piani delle case (il piano terra in Giappone si chiama primo, come a Messina), il papà di Vincenzo, il premio nobel Noyori, il caffè dalle ragazze, i terremoti che sono all’ordine del giorno (e della notte), la differenziazione della monnezza, gli effetti opposti che si ottengono chiedendo quattro cappuccini e un tè, se ci aiuta, per farsi capire, con le dita.
Il racconto adotta  lo stile del diario, con l’innovazione del duo, quasi musicale, attraverso un dialogo non solo generazionale ma innestato su diversi approcci stilistici, direi quasi differenti poetiche e diversi retroterra, dei due scrittori (tra l’altro padre e figlio), che trovano nel libro una mirabile sintesi e costanti punti di incontro e di confronto.
Questo diario (come due vite parallele) si fonda sul viaggio (altro genere che ha attraversato metà della letteratura conosciuta). Qui verrebbe facile parlare dei grandi scrittori che hanno percorso questo luogo letterario. Da Omero fino a Calvino, attraverso Stendhal, Salgari, due grandi bugiardi gli ultimi due, il primo per omissioni crescenti, il secondo perché ha fatto conoscere a più di una generazione le avventure di mondi abbastanza sconosciuti, senza mai alzarsi dalla scrivania. Viaggiatori totali comunque.
Ma cos’è il viaggio? Il procedere “turisticamente” con la guida con la bandierina (o altro) visibile in alto, il seguire libretti turistici, che probabilmente mai si seguirebbero nella propria città o nel proprio paese, o è il soffermarsi sulle sensazioni, sull’osservazione stupefatta, “natale” oserei dire, sulla meraviglia spesso non spiegata (e che non si tenta neppure di spiegare, pena l’annullamento del viaggio stesso)? Cos’è che fa la differenza tra viaggiatore e turista?
Il viaggio di Enakapata si muove su tre piani principali: gli incontri scientifici e di ricerca con grandi ricercatori e scienziati giapponesi e italo-giapponesi (se così si può dire), il dialogo costante tra due generazioni (padre e figlio, talvolta in filigrana, tal’altra in netta evidenza), il percorrere un terreno assolutamente sconosciuto (il vero viaggio!), senza lingua e senza cibo amico. Con il principe De Curtis come nume tutelare e saldo riferimento culturale.
Ma il viaggio in due con l’uso di una tastiera a quattro mani non è esercizio usuale e usato. Mi sbaglierò di certo, ma non riesco a trovare precedenti in letteratura.
Addirittura nel libro appare una facilitazione (ad usum lettore) “semeiotica”, non subito, nelle premesse napoletane, ma dopo, quando i due arrivano in Giappone: Vincenzo (il padre) inizia le sue considerazioni cronologico-diaristiche con l’uso costante del procedere “europeo-italico”; Luca (il figlio) le fa precedere da caratteri giapponesi (kanji).
Un viaggio vero, non quello turistico, è fatto di richiami, non nostalgie. E che richiami!
Pag. 40: Ricomincio da tre …”L’appuntamento era al bar di Don Peppe “testolina”, di fronte a casa mia, a fianco della merceria gestita dalla signora Carmela, la mamma di Tonino Parola”. Pensate: dettagli, personaggi, nomi e cognomi. “Se qualcuno mancava? Facile. Si passava a prenderlo a casa. Due le possibilità. La chiamata via citofono, modello classico. Oppure la chiamata a cappella, modello Lello. Chi è Lello? Lello Sodano, quello che all’inizio di Ricomincio da tre inizia a gridare , Gaetanoooo, Gae-tano, Gae-tà, e non smette fino a quando l’amico non scende.”
Il viaggio a due è fatto (e che viaggio vero!) di ansie unilaterali e senza davvero ombra di senilità precoce generazionale. Due pagine di poesia pura intitolate “Una domenica bestiale”. Vincenzo e Luca si lasciano con, a detta del padre, la promessa da parte di Luca di farsi vivo al ritorno a casa sua (i due vivono separati a Tokio per la scelta, correttissima, di non mischiare lavoro (di Vincenzo) e svago (di Luca) . Luca non mantiene, a detta del padre, la promessa.
“Mi sento con Valerio Orlando. Lo incontrerò al mio ritorno. L’Inter gioca contro il Palermo. Ma Luca non si fa vivo. Mi ripeto un minuto e un altro pure che è adulto e vaccinato. Che posso tranquillamente seguire la partita e poi andarmene a letto. Ma rimane il fatto che si sarebbe fatto vivo per il ritorno. Che è una persona affidabile. Che mi conosce”.
Jazz, scrittura sincopata!
“Tergiverso ancora un po’. Poi mi dirigo verso casa di Luca.
E’ passata la mezzanotte ma lungo la strada che collega Wako a Narimasu, qui alla periferia di Tokio, incontro una ragazzina di 16-17 anni che torna tranquilla a casa. Due o tre persone anziane che vanno in bicicletta. Tanti giovani di varia età fuori dai locali e per la strada. Lo so che anche in Giappone non mancano problemi, tensioni, contraddizioni. Ma mi viene un po’ tanto il magone a pensare a casa Italia. Ai luoghi comuni, alle ansie, ai pregiudizi che siamo riusciti ad addensare alla voce “sicurezza”.
Vincenzo arriva, dopo considerazioni politico-tranquillizzanti, a casa di Luca. “Busso. Non risponde. Busso e chiamo. Niente. Lo faccio ancora. Il cuore in gola. La porta si apre. Mi guarda. Mi dice “sei incredibile”.
E Luca figlio, sulla sua tastiera di pianoforte-diario annota “Torno a casa e scopro che è saltata la connessione,
“Miii! Non ci posso credere”, deve essere un avvenimento storico. Dovevo sentirmi con papà su Skype, se ne parla domani. Per stasera non mi resta che dormire. E’ passata da poco la mezzanotte quando bussano. Ci metto un po’ a svegliarmi, apro ancora mezzo addormentato, tutto bene, è papà. Non sentendomi mi aveva dato per disperso. Non importa quanti anni hai, che tipo sei, se hai viaggiato o no. I genitori sono apprensivi di natura.”
Jazz, poesia, interplay: ecco il libro Enakapata.
“Proviamo a suonare solo le note necessarie” dice Joao Gilberto in un dialogo con Enrico Rava nelle notti newyorkesi dei primi anni settanta; proviamo a togliere peso alle parole, come ha fatto per una vita intera Italo Calvino. E aggiunge Luca “ci abbiamo provato con tutte le nostre forze. A suonare solo le note necessarie. A togliere peso al racconto.”
Ce l’hanno fatta davvero, Luca e Vincenzo. Cento racconti possono nascere da questo libro, con le sole note necessarie richiamate da Joao, con il  “napoletano” in salsa giapponese minimalista.

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