Il cameriere di Goffman

Camionisti, commessi viaggiatori e manager più e meno affermati lo hanno imparato presto, non di rado a proprie spese: non importa quanto il ristorante sia famoso, citato, “stellato”, rinomato, la regola fondamentale quando si mangia fuori di casa è tenersi buono il cameriere. Che può essere tanto cerimonioso in vostra presenza quanto “pericoloso” in cucina.

Molti di meno sono quelli che sanno che a spiegare “tecnicamente” la doppiezza del cameriere è stato un grande della sociologia moderna, Erving Goffman, lo studioso che ha svelato in che senso e perché l’istituzione totale azzera il senso di sé, impedisce ogni distinzione tra presa di ruolo e distanza dal ruolo, fa dell’individuo il destinatario di una violenza istituzionalizzata che distrugge ogni suo barlume di umanità e di razionalità.

Ma torniamo ai nostri camerieri – tanto deferenti, educati, discreti al cospetto dei clienti del ristorante quanto estremamente informali e irrispettosi in cucina – per ricordare che essi rappresentano l’esempio paradigmatico di cui Goffman si serve per mettere in evidenza come le persone, nella loro vita sociale, abbiano comportamenti significativamente differenti a seconda se si trovano in spazi di palcoscenico (pubblici, nei quali si comportano secondo canoni definiti) o di retroscena (privati, nei quali non c’è necessità di recitare).

I camerieri sanno ciò che fanno in cucina e dunque: i loro segreti devono necessariamente rimanere all’interno del gruppo che comprende per definizione tutte le persone che sono a conoscenza di tali segreti; se anche uno di loro raccontasse ai clienti i segreti del gruppo – il modo in cui si preparano le portate, si mangia o si deridono i clienti – il gruppo stesso verrebbe distrutto; appartenere a un gruppo sociale, sia esso formato da un gruppo di amici, da una categoria professionale, da un’associazione, da un circolo informale, significa dunque condividere il suo patrimonio di conoscenze e i suoi segreti.

In definitiva, Goffman ci ha mostrato come le nostre realtà quotidiane siano il prodotto di un intricato sistema di regole fisiche, biologiche, psicologiche e socio-giuridiche, del modo in cui si riesce a comunicare contestualmente in modo appropriato, adeguato a ciò che gli altri partecipanti all’interazione si attendono. E perché è necessario che le persone mettano in campo sia un sapere sociale relativo alle regole conosciute sia un sapere comunicativo che permette di adattare il loro repertorio comunicativo – gesti, parole, espressioni, movimenti – alla gamma di attese psicosociali oltre che tecniche che il pubblico (gli altri partecipanti all’interazione non attivi in quel momento) desidera percepire nella situazione considerata (cerimoniale, rituale, lavorativa, di svago o casuale che sia).

Meglio fermarsi qui. Evitare che la faccenda prenda una piega troppo seriosa per queste giornate dominate dal generale agosto. Cercare di mantenersi leggeri. Senza dimenticare di lasciare la mancia per i camerieri.

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