Cattive compagnie

La TV crea miti. Li metabolizza. Li distrugge. Occupa pagine intere di quotidiani, tabloid, settimanali. Alla televisione dedicano attenzione persone, intellettuali, personalità di ogni tipo.

Nelle nostre affollate e supertecnologiche metropoli, dove si raffreddano i rapporti umani e si lasciano un sacco di persone escluse, dove i genitori sono sempre più indaffarati e stanchi per avere anche il tempo di giocare con i propri figli, sono davvero tanti gli ingredienti che spiegano e giustificano il predominio della cattiva maestra televisione.

Se guardiamo al mondo dei più piccoli, la mancanza di luoghi nei quali essi possano incontrarsi e giocare con i loro coetanei senza necessariamente dover prenotare un campo di calcetto o la pizzeria, la pericolosità, vera e presunta, dei quartieri nei quali abitiamo, la sempre minore capacità di formare della famiglia e della scuola, contribuiscono ad esempio a dare un alone di oggettività al fatto che bambini e ragazzi di ogni età si ritrovino, per necessità o, peggio ancora, per routine, quotidianamente sbattuti per ore davanti ad uno schermo sempre acceso (i più fortunati finiscono con l’essere i video – pluralisti, quelli che hanno almeno la possibilità di alternare la TV con la play station, il game boy, il computer).

Ma anche se guardiamo al mondo degli adulti, ci accorgiamo che in fondo le cose non vanno un gran che meglio: schiacciati dallo stress, dal lavoro, dalle responsabilità, dalle difficoltà economiche, anche i “grandi” riescono sempre più raramente a uscire di casa quando viene la sera, a ritrovarsi in discoteca, in balera, al cineforum o a un concerto, a seconda dei gusti e delle età, e finiscono fatalmente sdraiati sul divano, alle prese con la quotidiana sfida per la conquista del telecomando.

E’ probabile che nella meticolosa, scientifica, masochistica, puntualità con la quale riempiamo le nostre case di televisori, spesso uno per ciascun componente della famiglia, e ci precludiamo finanche la possibilità di una comunicativa litigata con mariti, mogli, figli, per decidere su quale canale sintonizzarsi, sia racchiuso un ulteriore indizio delle complesse dinamiche che talvolta si stabiliscono tra carnefici e vittime, ma ciò non toglie nulla alla questione centrale: la televisione deve in massima parte la sua forza e importanza alla possibilità – capacità di agire su un’enorme quantità di solitudini involontarie.

E’ innanzitutto grazie a questa sua capacità che essa è diventata, in particolar modo per le generazioni più giovani, una delle più importanti agenzie formativa di valori, modelli di comportamento, stili di vita.

La televisione ci tiene compagnia, ci include, ci fa sentire meno soli. Da “piccoli” così come da “grandi”. In casa, quando siamo soli di giorno o stanchi di sera, E fuori, quando domani potremo commentare con i compagni di classe l’ultima puntata di “Art Attack”, ripetere con i colleghi di ufficio i tormentoni più simpatici di “Zelig”, verificare durante la pausa pranzo con quanti milioni di nostri connazionali, secondo i dati Auditel, abbiamo condiviso la visione del film della sera precedente.

La televisione seleziona gli avvenimenti e le informazioni alle quali abbiamo accesso. Influisce sui percorsi attraverso i quali si determinano le preferenze e le scelte di ciascuno di noi. Stabilisce criteri per rappresentare la realtà e definire ciò che è vero.

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