Miti razionali, relazioni, imprese

E se questa settimana ritornassimo a occuparci di processi organizzativi? Parlando ad esempio di isomorfismo, relazioni, miti razionali, campi organizzativi?

Come (forse) avrete già intuito si tratta della scuola neoistituzionalista, che rappresenta una delle più significative correnti sociologiche contemporanee e un punto di riferimento importante per economisti, dirigenti d’impresa, studiosi, professionisti.

Per cominciare è bene ricordare che pur non rinnegando il proprio legame con il pensiero istituzionalista di Philip Selznick (secondo il quale la società non può essere considerata un semplice aggregato di soggetti e organizzazioni che agiscono sulla base di criteri di razionalità, seppur limitata, per massimizzare le proprie utilità; occorre spostare la riflessione dalle scelte definite in maniera autonoma dal singolo individuo o dalla singola organizzazione al contesto istituzionale nel quale gli uni e le altre operano), i neoistituzionalisti sviluppano in maniera del tutto autonoma e originale l’analisi relativa al rapporto tra contesto istituzionale e singola organizzazione.

Con il neoistituzionalismo il tema centrale dell’analisi organizzativa è dato infatti dal processo di azione – retroazione che si determina tra organizzazioni e istituzioni e che fa sì che organizzazioni dello stesso tipo assumano comportamenti molto simili tra loro. Conseguentemente, oggetto principale dell’indagine sociologica non sono più le singole organizzazioni ma le popolazioni organizzative, l’insieme di unità, soggetti, organizzazioni che operano in un determinato contesto istituzionale.

Le istituzioni diventano il punto vero sul quale puntare l’interesse, dato che le strategie e i criteri di giudizio delle organizzazioni sono largamente imputabili alle pressioni alla conformità esercitate dal contesto istituzionale, ai condizionamenti di ordine materiale e simbolico che le istituzioni esercitano sui comportamenti umani e su quelli delle organizzazioni.

Sono John Meyer e Brian Rowan, nel 1977, ad avviare la stagione del pensiero neoistituzionalista con un articolo nel quale propongono il concetto di isomorfismo come chiave per comprendere le ragioni per le quali organizzazioni che operano nell’ambito dello stesso contesto istituzionale sono spinte ad assumere scelte molto simili tra loro.

L’idea è che per essere giudicate efficienti, massimizzare legittimità, risorse, capacità di sopravvivenza, le organizzazioni devono rispettare criteri di razionalità stabiliti dal contesto istituzionale. In definitiva secondo Meyer e Rowan i processi di isoformismo non sono determinati soltanto dalla tendenza ad uniformarsi all’ambiente esterno ma anche dell’azione dell’ambiente che spinge alla nascita di nuove organizzazioni coerenti con i miti razionali (regole istituzionalizzate, norme, cerimoniali di procedure) da esso stesso prodotti.

A un nuovo mito che si consolida corrispondono nuove organizzazioni che nascono per rispondere ai bisogni che esso produce e alimenta e, udite, udite, la strada migliore per gestire il conflitto tra i criteri di razionalità interni e le spinte dell’ambiente è quella di sviluppare due strutture parallele, una formale, coerente con i miti e i cerimoniali, l’altra informale, coerente con l’obiettivo dell’efficienza interna.

A Walter Powell e Paul Di Maggio si deve invece il concetto di campo organizzativo, da essi definito come un’area riconosciuta di vita istituzionale caratterizzata da confini fluidi e indistinti ma con una fitta e stabile rete di comunicazione nell’ambito della quale un insieme estremamente variegato di attori sociali, economici, politici, culturali, contribuisce, in maniera più o meno consapevole, a determinare processi di cambiamento.

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