Robert Merton

Ricordate?
Qualche settimana fa vi avevamo parlato di Serendipity, delle scoperte fatte per genio e per caso, derivanti in vario modo dall’osservazione di un dato imprevisto, anomalo e strategico (a proposito, nelle prossime settimane vi aggiorneremo sugli sviluppi della nostra fitta corrispondenza rigorosamente telematica con Piero Carninci, il leader del consorzio internazionale di scienziati che ha scoperto le nuove funzioni del trascrittoma, l’RNA).

Come vi avevamo accennato, dal punto di vista sociologico tale concetto si deve a Merton (che a sua volta lo aveva derivato da una lettera di Horace Walpole e Horace Mann) ed è proprio di questo signore colto, elegante, ricco di immaginazione, gentile, uno dei grandi scienziati sociali del XX secolo (uno dei tre figli, Robert C., ha vinto il premio Nobel per l’Economia nel 1997), che intendiamo parlarvi questa settimana.

Se oggi sappiamo che la danza della pioggia degli indiani Hopi aveva una funzione manifesta (conseguenza visibile e attesa di un comportamento sociale), quella per l’appunto di procurare la pioggia, e una latente (conseguenza non prevista e non voluta di un comportamento sociale), quella di cementare la coesione della tribù, che da quel rito traeva la forza per sentirsi più forte di fronte alle avversità lo dobbiamo proprio a Merton.

Ancora a lui dobbiamo la teoria dei gruppi di riferimento, secondo la quale le persone valutano la propria situazione confrontandola con quella del contesto sociale al quale guardano, che può essere la società, il sistema culturale, il gruppo, l’unità psicologica. Lo scarto esistenziale e sociale che può determinarsi in questo rapporto crea distorsioni e discrepanze nell’agire sociale che non di rado determinano forme di devianza sociale.

Sempre a lui dobbiamo la teorizzazione delle conseguenze impreviste delle azioni umane, e cioè dello scarto esistente tra ciò che intendiamo fare e ciò che in realtà effettivamente facciamo con le nostre azioni, con la miriade di effetti non intenzionali, collaterali, non previsti, connessi a tale scarto.

Non contento elabora importanti teorie che definisce di medio raggio, applicabili a serie limitate di dati ma non circoscritte alla semplice descrizione dei fenomeni che gli permettono di verificare empiricamente ipotesi relative a fenomeni come ad esempio i processi di burocratizzazione e superconformismo che affliggono le grandi organizzazioni, gli effetti sociali dei mass media, il comportamento deviante.

A suo giudizio la devianza emerge quando le norme socioculturali entrano in conflitto con la realtà sociale in cui vive l’individuo. Nella società americana i valori generalmente accettati enfatizzano le dinamiche del “farsi strada”, “fare soldi”, l’ideologia del self-made man ed in poche parole il successo materiale. Viene supposto che il raggiungimento di questi obiettivi passi attraverso il duro lavoro, unico viatico al vero successo indipendentemente dalla condizione sociale di partenza. La realtà può non essere questa, in particolar modo per coloro che partono svantaggiati e che però finiscono per essere considerati incapaci di avere successo. Il comportamento deviante risulta così una modificazione dei mezzi per raggiungere gli stessi fini propagandati dalla società.

Con le sue analisi Merton dimostra che non tutto il sistema sociale può essere letto alla luce della dialettica funzionale – disfunzionale dato che molte pratiche persistono malgrado non abbiano benefici particolari né per i singoli né per la società, lo stesso elemento sociale può essere funzionale per determinati individui, gruppi o sistemi e disfunzionale per altri; gli individui non sono sempre coscienti degli scopi che stanno perseguendo e delle funzioni che assolvono i loro comportamenti. Dalla sua analisi della burocrazia pubblica statunitense emerge ad esempio che ci sono almeno 4 funzioni latenti che determinano conseguenze inattese.

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