Fatti più in là

Ricordate? Qualche settimana avevamo segnalato il blog ascuoladibugie.blogosfere.it e affrontato il tema “precari” nelle scuole, discusso delle legittime aspettative di questi ultimi circa la possibilità di avere un futuro meno instabile e insicuro.

A ulteriore dimostrazione di quanto il tema precarietà, diritto al lavoro, pari opportunità di accesso sia non solo scottante ma anche ingarbugliato arriva una lettera degli studenti del Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria dell’Università degli Studi di Milano – Bicocca nato nel 1998 con lo scopo di riqualificare la figura dell’insegnante di scuola primaria e di scuola dell’infanzia.

Dopo aver segnalato il blog veremaestrelaureate.splinder.com e spiegato che il corso di studio prevede 24 esami, 500 ore di tirocinio sul campo, 240 ore di laboratori pedagogico-didattici, una tesi equiparata a quella di una laurea specialistica, l’abilitazione all’insegnamento e l’accesso alle graduatorie permanenti gli autori della lettera sottolineano che tutto questo non basta a dare loro, e ai loro colleghi, un minimo di prospettiva.

E ciò perché, sostengono gli autori, “negli ultimi due anni entrambi i Governi hanno cercato di risolvere la situazione di quella massa di insegnanti precari, che, non avendo l’abilitazione o non avendo partecipato ad un concorso, non hanno diritto ad accedere al ruolo.

Per tale motivo sono nati i “corsi abilitanti”, di durata annuale, alla fine dei quali l’insegnante precario (non abilitato) ottiene l’abilitazione e può accedere alle graduatorie permanenti.

Peccato (per noi!) che questi precari abbiano alle spalle già “almeno 360 giorni di insegnamento negli ultimi 5 anni” e dunque, ottenuta l’abilitazione, entrino in graduatoria in una posizione molto più avanzata rispetto ai neo-laureati”!

Il rischio che si scateni una piccola grande guerra tra poveri appare davvero grande anche se gli studenti della Bicocca ci tengono a precisare che “noi laureati in Scienze della Formazione Primaria non siamo contro i precari, non vogliamo ostacolarli, hanno diritto a quel posto esattamente come noi, solo vorremmo avere, rispetto a loro, pari opportunità”.

E voi cosa ne pensate? Scriveteci la vostra opinione!

Ancora il difficile mestiere di insegnante è al centro della lettera di un’altra nostra lettrice, Loretta Fabiani, docente in un Istituto superiore di Torino che si dice turbata dai recenti avvenimenti che hanno coinvolto il mondo della scuola.

Ecco alcuni stralci della sua lettera.
“Fare il professore ed insegnare sono “mestieri” differenti, perché per insegnare non bastano intelletto, cultura e formazione, ci vogliono cuore, passione, pazienza e tanta forza di volontà per credere che gli sforzi fatti che sembrano assolutamente inutili oggi, potrebbero servire ai tuoi allievi domani.[…]

Fare il professore significa avere classi molto numerose, dove le facce, le storie si confondono e ciò che succede tra di loro non ti riguarda, soprattutto perché spesso sono solo “beghe” tra ragazzi.

Essere un insegnante implica “esserci”, non essere sordi, non essere ciechi né con gli occhi né con la mente e nemmeno con il cuore.

Fare il professore significa patteggiare con abilità diverse, con abilità maggiori e con abilità minori tenendole nel giusto conto, ma “andando avanti con il programma”…[…]

Essere un insegnante significa fare delle diversità un punto di forza dei ragazzi, chiamare a raccolta le differenti abilità di ciascuno per creare ed imparare insieme in maniera più ricca, più unica, significa fare di ogni difficoltà una sfida da superare, di ogni mancanza uno stimolo ad essere più forti e più uniti… come nella vita”.

E voi? Cosa pensate della differenza tra essere e fare l’insegnante così come la delinea la prof.ssa torinese?

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