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Sì, per cominciare niente squilli di tromba, basta un abbozzo, qualche idea da confrontare.

Diciamo allora che al principio ci sono sempre domande ritenute fondamentali, almeno per tutti quelli che, come noi, sono cresciuti all’ombra del pensiero greco[1]. Accade alle persone comuni, che fanno a pugni ogni giorno con il desiderio di conquistare un futuro migliore per sé stessi e per i propri figli. Accade ai filosofi, che si ritrovano, millennio dopo millennio, ad interrogarsi su «ciò che vi è», su «ciò che vale», su «chi noi siamo». Accade nei film, come nel primo episodio di Matrix, la trilogia ideata e diretta dai fratelli Wachowski[2], quando l’affascinante Trinity sussurra a Neo «It’s the question that drive us, Neo. It’s the question that brought you here. You know the question, just as I did» e Neo (si) chiede «What is the Matrix?». Accade ai papi, come suggerisce l’aneddoto che vuole che Karol Wojtyla abbia detto, al giornalista che si congratula per la bellezza di «Varcare la soglia della speranza[3]», che il merito è delle domande di Vittorio Messori, dato che senza buone domande non esistono buone risposte. Accade anche ai sociologi dell’organizzazione, ai manager e ai team leader alle prese con la necessità di comprendere «come funzionano le organizzazioni» e «come potrebbero funzionare meglio».

Già. «Come funzionano le organizzazioni?», «come potrebbero funzionare meglio?», «come decidono?», «in che modo collaborano e competono?», «perché  è importante che assumano il miglioramento continuo come denominatore comune della loro cultura e delle loro azioni?», «come fanno in modo che le persone che le compongono siano motivate, partecipino, attivino processi di conferimento di senso e di significato?», «come mettono in comune, scambiano e utilizzano idee, contenuti e informazioni per apprendere, costruire significati, creare conoscenza?».

Si potrebbe partire da qui. Dalla voglia di pensare e di sperimentare metodologie e buone pratiche. Ragionando certo di processi decisionali, di sistemi qualità, di processi di competizione collaborazione, di serendipity,  ma anche di rapporto tra leader e team, di trasmissione di conoscenza di tipo top-down,  di caratteristiche dei testi di studio e di approfondimento, di apprendimento on the job, di diffusione di flussi di conoscenza di tipo  bottom-up, di valorizzazione dei saperi non solo espliciti ma anche taciti dei partecipanti al processo di apprendimento – miglioramento, di processi di comunicazione orizzontali, di rapporto tra nuove tecnologie  e processi di apprendimento, di approccio di tipo connettivo, di verifica continua sul campo di metodologia, didattica, contenuti.

Sun Tzu ha scritto che «una volta colte, le opportunità si moltiplicano[4]». E Winston Wolf (Harvey Keitel), in Pulp Fiction, il film cult di Quentin Tarantino, si presenta a Vincent Vega (John Travolta), Jules Winnfield (Samuel L. Jackson) e Jimmie Dimmick (Quentin Tarantino) con la mitica battuta «Sono il signor Wolf. Risolvo problemi».
Ecco, il sociologo, il manager, il  team leader dalle mai finite connessioni che piace a noi ha più o meno queste caratteristiche: risolve problemi, coglie opportunità, ergo, le moltiplica.
Buona partecipazione.


[1] L’eccezione, non solo significativa ma destinata ad incidere sempre più sul nostro futuro, è data dal pensiero “altro” che ci viene dalla Cina, come spiega mirabilmente Francois Jullien nei suoi libri, per ultimo “Le trasformazioni silenziose”, Raffaello Cortina, 2010

[2] Il riferimento è naturalmente a The Matrix di Andy e Larry Wachowski, con Keanu Reeves, Laurence Fishburne, Carrie-Anne Moss, Hugo Weaving, Monica Bellucci, 2003

[3] Giovanni Paolo II, Messori Vittorio, Varcare la soglia della speranza, Mondadori, 2004

[4] cfr. Sun Tzu, L’Arte della Guerra, Astrolabio Ubaldini

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