Elogio della leggerezza

Opera di Matteo Arfanotti

Opera di Matteo Arfanotti

Mi è capitato di accennarne ancora stamattina con la mia @mica Manuela Giani. Lei mi ha spiegato perché non mi aveva mandato un certo articolo, io le ho risposto che non c’era bisogno di un perchè, se non me l’aveva mandato voleva dire che non aveva potuto mandarmelo.
Detto così può sembrare banale, peggio persino delle frasi sui cioccolatini, e invece non lo è affatto, almeno per me, almeno da quando ho imparato che nella vita ci sono quelli a cui devi aggiungere peso e quelli a cui lo devi togliere.
Ora, fin quando nella prima categoria ci sono quelli come mio figlio Riccardo, che è uno splendido quindicenne che pensa, come capita a tanti suoi coetanei, accadeva persino a me alla sua età, di essere un esploratore senza quartiere, faccio volentieri la parte dell’uomo palla che racconta di limiti, di regole, di senso di responsabilità, di autocontrollo. Per tutto il resto, non avendo mastercard, cerco di evitare, nel senso che mi piace sempre meno perdere tempo con persone che si sono fatte grandi senza diventare adulte. Come diceva uno slogan in voga un pò di anni fa, quando posso, che non sempre posso, preferisco vivere, cioè coltivare l’amicizia di persone alle quali so di poter dire, come fece tanti anni con me il mio amico Rosario, di stare tranquille perché se una cosa non l’hanno fatta vuol dire che non la potevano fare.
E’ un pò come la storia di Calvino di togliere peso alle figure umane, ai corpi celesti,  alle città, al linguaggio, nel senso che mi piacerebbe un giorno poter dire che ho passato la mia vita non solo a sbagliare, che quello è inevitabile, ma anche a cercare ogni tanto di toglier peso alle persone. In fondo è la cosa che auguro di più a me stesso e dunque il minimo che possa fare è tentare di fare con gli altri ciò che vorrei che gli altri facessero con me. O no?

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