Formarsi è giusto

Formarsi è giusto. Perché in un mondo che cambia a un ritmo sempre più incessante chi sa, e sa fare, ha più possibilità di non ritrovarsi estraniato, emarginato, escluso, dai processi produttivi, sociali, culturali. Perché in una società che, con strabica, talvolta insopportabile, autoreferenzialità, ama definirsi della conoscenza, l’importanza dell’apprendimento per tutto l’arco della vita dovrebbe rappresentare un presupposto ancor prima che un esito. E perché forse, come intuì una bambina un pò di anni fa, la libertà è davvero il diritto di sapere delle cose.

Il tema è qui la formazione continua per i lavoratori. E all’interno della FC i fondi interprofessionali.
Il piano formativo è un inganno?
La domanda è solo apparentemente provocatoria.

Oggi tutti i settori produttivi più dinamici sono in tensione estrema verso mutamenti forti. Cambiano con rapidità Organizzazioni, Attori e Sistemi di Relazioni interne alle grandi imprese. E spesso è il contesto a determinare il modello organizzativo.
A fronte di una siffatta velocità di mutamento la competenza collettiva rischia di indebolirsi se anche il sistema d’interfaccia organizzativa diventa mutevole.

Il nostro lavoro di sperimentazione, in un quadro di collaborazione molto fattiva con le Parti Sociali ha permesso di:

portare alla luce le differenze tra ciò che c’è e ciò che appare;

testare la tenuta metodologica del modello di pianificazione, ma nel contempo di evidenziare la scarsa sostenibilità di un sistema relazionale “radicalmente“ bilaterale;

delineare le peculiarità della situazione italiana, le criticità ad esse collegate, la difficoltà a immaginare transfer meccanici di buone pratiche sperimentate altrove in Europa;

promuovere un percorso sostenibile che può generare apprendimento di sistema, a partire dalla identificazione di attori e competenze;

individuare i possibili attori chiave chiamati a governare i Piani formativi nelle grandi imprese italiane;

delineare gli elementi di un Piano formativo sui quali è possibile che si attivi una relazione partecipata tra le parti sociali e con quali possibili strumenti.

ALCUNE INDICAZIONI EMERSE DALLA RICERCA

Gli attuali modelli di bilateralità formativa aziendale, tranne qualche caso di eccellenza, non contemplano una concertazione diffusa su tutto il Piano Formativo.

C’è una bilateralità macro negli intenti e molto sfumata sul processo.

Emergono con evidenza alcuni momenti concertativi più di altri, con Fasi e Attori abbastanza definiti, ma la Relazione e i Ruoli restano elementi che meritano ulteriori riflessioni e azioni di rinforzo.

Ad oggi l’allineamento degli intenti e degli obiettivi di tutti gli attori chiave, è più facilmente individuabile all’inizio ed alla fine dei Piani formativi, sulle finalità, gli indirizzi e sulle valutazioni finali.
Il processo del Piano è in parte lasciato alle regole del “mercato”; in parte delegato ad un sistema di attori di facilitazione tecnica; in piccola parte legato ad aspetti negoziali (es l’orario).
Sarebbero utili format di orientamento alla relazione bilaterale (es. l’allineamento degli intenti, la condivisione degli indirizzi del PFA); un set di metodologie e strumenti di natura snella, leggera e adattabile, utili alla verifica congiunta in itinere e finale dei Piani.

Da parte sindacale viene segnalata l’esigenza di entrare meglio nei momenti di monitoraggio e verifiche in itinere; nella individuazione della tipologia dei destinatari; nella definizione del quadro del riconoscimento della competenza ex post; azioni di sensibilizzazione e informazione delle RSU affinchè possano entrare di più e meglio nel merito dei piani formativi.

Da parte aziendale viene segnalata l’esigenza di rendere più flessibili le modalità di accesso al finanziamento dei Piani e maggiore snellezza nelle procedure di gestione.

ALCUNE INDICAZIONI PER IL FUTURO

Nella realtà dei fatti, la firma sul Piano non è garanzia di condivisione.

Processi e procedure hanno bisogno di un background culturale e di un sistema di competenze nel quale ciascun Attore fa la propria parte; di tempi di elaborazione e di sedimentazione lunghi e complessi nelle imprese; di costanza e continuità; di valorizzazione delle buone pratiche; di azioni di rafforzamento, di sostegno agli Attori Sociali (informazione diffusa nelle Imprese; formazione mirata al ruolo di agenti di formazione; sensibilizzazione, anche a partire dal contesto territoriale esterno alle imprese; regia dei processi da parte delle OO.SS territoriali nei confronti delle RSU e delle Associazioni datoriali nei confronti delle imprese associate).

La negoziazione, concertazione, condivisione del piano formativo richiede insomma dei ruoli organizzativi e sociali, un processo di costruzione dal basso da animare e preparare con gli stessi attori sul campo, nei contesti aziendali, misurando modalità e strumenti con le parti direttamente coinvolte.

Gli Attori sociali sono chiamati a svolgere un nuovo ruolo di agenti di formazione continua, agenti di apprendimento nei luoghi di lavoro e ciò pone all’ordine del giorno la necessità di ripensare le strategie di relazione e di stare dentro la relazione bilaterale con un ruolo meno difensivo e più propositivo.

Nell’attivazione di processi di bilateralità, di condivisione dal basso, le responsabilità delle scelte restano interne al sistema di relazione tra le Parti Sociali. E se non c’è un inquadramento preliminare di alcune variabili di contesto (clima organizzativo, relazioni sindacali) e una presa d’atto di quali sono gli Attori che entrano in campo nel sistema di relazione che si crea dentro e fuori le aziende (figure di facilitazione della relazione, figure di supporto alla creazione della relaizone di fiducia, le organizzaizoni datoriali, le OOSS territoriali) si fa oggettivamente molta più fatica ad impostare processi reali di bilateralità.

Si può rafforzare il processo di condivisione, lavorando per:
rendere più sistemico e meno contingente il rapporto con la strategia formativa nelle Grandi Imprese;
definire un orizzonte temporale medio lungo per la programmazione al fine di determinare un processo virtuoso (utilizzare gli esiti finali dei Piani e le verifiche di impatto per fare nuove programmazioni);
pensare e definire congiuntamente il fabbisogno formativo.

Per costruire sensibilità alla condivisione serve una “pedagogia” fondata su esperienze e pratiche di terreno che definiscano quando e cosa condividere, gli intenti e gli impatti, gli obiettivi e i risultati, per le imprese e le persone.

Può essere utile prevedere formule leggere di verifica in itinere, gestibili da parte dei non addetti ai lavori;
snellire le procedure di accesso alla formazione continua;
rafforzare le valutazioni e le autovalutazioni sugli esiti, costruendo indicatori di misura legati alla qualità e all’efficacia della formazione finanziata.
individuare sedi settoriali e territoriali per favorire le prassi di bilateralità nelle imprese.

Dichiarazione di intenti.

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