Come formare finalmente quella vera classe dirigente che non c’è

Datemi un leader, conquisterò il centro, solleverò l’Italia: è il messaggio dominante di questa stagione politica, l’ antidoto che partiti e coalizioni propongono a piene mani per curare i mali che affliggono l’economia e la società italiana.
C’è chi non fa fatica a sostenere che i destini della Nazione dipendono da questi eroi più o meno solitari e chi, come è noto, ha preso la cosa tanto sul serio da autoproclamarsi Unto dal Signore, ma l’idea che la vicenda politica italiana possa sostanzialmente essere risolta dalla definizione del leader e dai rapporti tra leaders attraversa, trovando autorevoli sostenitori, tutti gli schieramenti.
Francamente, non mi sembra una grande idea nè per il centrosinistra nè, ed è l’aspetto certamente più significativo, per il Paese.
Il vento semplificatorio che soffia sulla politica nazionale non può che favorire le forze che guardano al passaggio dalla prima alla seconda fase della Repubblica come ad una gigantesca opera di restyling del vecchio sistema.
Non è stata questa, del resto, una delle idee guida fondamentali che hanno ispirato l’esperienza di governo di Silvio Berlusconi?
E non spetta invece al centro sinistra pensare, progettare, proporre un processo di rinnovamento che coinvolga uomini, regole, culture e sia per questo profondo e consapevole?
Io credo di sì, e che potrà farlo se sarà capace di valorizzare la creatività e le differenze, se alla gerarchia saprà rispondere con la responsabilità, alla centralizzazione con la diffusione ed il decentramento dei poteri, al leaderismo con l’affermazione di una nuova classe dirigente.
Sta qui una questione decisiva.
La mancanza di una classe dirigente, di un ceto intermedio forte, particolarmente acuta nel Mezzogiorno, ha infatti fortemente condizionato la storia del nostro Paese.
In un saggio su Napoli, il Sud, il federalismo, scritto assieme a Luca De Biase, abbiamo sottolineato come proprio a Napoli, per mano di Gaetano Filangieri, sia nata quella “Scienza della legislazione” destinata ad avere un peso decisivo nella formazione del pensiero e dei governi rivoluzionari in Francia ed in Europa e che invece ben poca fortuna ha avuto in patria, dove ha prodotto quella rivoluzione del 1799 che, sono parole di Vincenzo Cuoco, “dovea formare la felicità di una nazione ed intanto ha prodotto la sua ruina”.
Una rivoluzione fallita da un lato perchè, come scrive ancora il grande storico napoletano, essa è stata per il popolo un dono e non un bisogno, e dall’altro perchè anche allora, nonostante l’impegno di uomini come Genovesi, Pagano, lo stesso Filangieri, tra il “sopra” (il re, i nobili, l’alto clero) ed il “sotto” (il popolo) c’era troppo poco “mezzo” ( professori di lettere, frati, preti, avvocati, giudici).
E quando Giudo Dorso, circa un secolo e mezzo dopo, ha sostenuto la necessità che si formassero cento uomini di ferro per dare finalmente soluzione ai problemi del Mezzogiorno d’Italia, egli non ha fatto altro che riproporre, da un diverso versante, la medesima questione.
Questione che ritorna ai nostri giorni come necessità di costruire quella società di mezzo (c’è un’assonanza perfino terminologica con l’ordine mezzano propugnato dal Genovesi) che si ritiene indispensabile per lo sviluppo economico e sociale delle diverse aree del Paese.
Certo, come abbiamo scritto nel documento a fianco riportato, la costruzione di una nuova classe dirigente è un processo certamente più impegnativo della individuazione di un leader ma, come è noto, problemi complessi richiedono necessariamente soluzioni complesse.
D’altro canto, nelle società e nelle economie di tutti i Paesi più avanzati la collegialità, la responsabilità, la partecipazione da un lato, i sistemi aperti e modulari, le reti, gli ambiti territoriali ed i poteri locali dall’altro, diventano ogni giorno più importanti.
E la politica ha senso, riesce ad andare oltre la riproduzione di sè stessa solo se è capace di interpretare quanto avviene nell’ economia e nella società e di governare definendo regole e scelte più utili al loro sviluppo.
Ad un recente summit sulle telecomunicazioni organizzato dalla Telecom l’amministratore delegato della Mondadori, Franco Tatò, ha sostenuto che con l’ormai prossimo avvento della società digitale i due principali fattori di successo saranno rappresentati dall’intelligenza e dall’educazione. E Nicholas Negroponte, guru incontrastato del pianeta digitale, responsabile del Medialab presso il mitico M.I.T. di Boston, ha affermato che in ogni consiglio di amministrazione dovrebbe sedere almeno un quindicenne.
Da quando tempo la politica nel nostro Paese non parla di intelligenza, di educazione, di scuola, di formazione?
E quando è stata l’ultima volta che la sinistra, o il centro sinistra, si è occupato seriamente di giovani? Forse, appena dopo le elezioni del marzo 1993, quando ci si accorse che tra il nulla e le false promesse berlusconiane i giovani avevano scelto queste ultime.
La perdita di identità e di ruolo che colpisce fasce sempre più ampie di società, può essere combattuta e vinta se si defiscono nuovi protagonismi e si diffondono i poteri. Una nuova classe dirigente non può che nascere da qui, dalla verifica sul campo di idee, aspirazioni, comportamenti; dalla costruzione di un sistema nel quale la possibilità di vedere soddisfatta quella che Spinoza definiva la propria utilitas sia strettamente collegata al rispetto delle leggi e delle regole democraticamente definite; da una partecipazione attiva dei cittadini alla vita, alla gestione e al controllo della res pubblica.
In questo quadro, la stessa positiva esperienza dei comitati Prodi va potenziata, ampliata, non lasciata isolata.
In un sistema democratico, non c’è un Cesare al quale dare quel che è di Cesare, anche perchè di suo, Cesare, non ha niente.
E forse, se la maggioranza degli italiani sarà daccordo, si potrà fare anche a meno di affidare il governo del Paese a chi confonde il libero mercato con la tutela dei propri interessi e lo sviluppo economico con la promessa di un milione di posti di lavoro.
Occorre però che il centro sinistra risponda alle suggestioni plebiscitarie proposte dalla destra, mettendo in campo valori, volontà di innovazione e di riforma, definendo per questa via una propria chiara identità .
Può non essere semplice. Ma, come avrebbe detto Jorge Luis Borges, sono davanti a noi futuri diversi che con le nostre azioni individuali e collettive contribuiamo a rendere più o meno possibili. Se ce ne convinciamo fino in fondo, abbiamo potenzialità e risorse sicuramente superiori ai nostri avversari politici.
Forse anche per questo una classe dirigente può valere molto più di un leader.

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