Il vino dei mietitori

Franco Araniti, poeta che scrive nel dialetto dei “quadarari”, gli stagnini di Dipignano, nelle serre cosentine calabresi; Emilio Argiroffi, medico, poeta, pittore, sindaco di Taurianova, Senatore della Repubblica; Giuseppe Coniglio, poeta dialettale, bracciante agricolo, mastro costruttore di muri a secco; e poi ancora Adele Pantuso di Verzino, insegnante, Bruno Pierozzi, pittore, Oreste Lupi, capitano nei mari del mondo, sindaco di San Donato Milanese.

Si chiamano così le donne e gli uomini, le persone, protagoniste delle “Dissestate Rime” di Sandro Taverniti, calabrese, dirigente della CGIL (Federbraccianti, Confederazione, SPI, attualmente segretario regionale dello SPI Molise), da sempre “costretto” a fare i conti con “una strana voglia di scrivere / quasi una pena sottile / scoprendo sotto la coltre / degli anni ormai numerosi / le opposte e uguali paure / di vivere e di morire”.

È una strana voglia che chi ha letto “Quando Maria Cantava”, il volume di racconti pubblicato qualche anno fa, conosce bene. È la strana voglia che siamo certi attraverserà “Nel paese dei due Re”, il volume di prossima uscita che racconta la “sua” Calabria. È una strana voglia che in questa sua raccolta di poesie si presenta con particolare forza e intensità.

In parte contribuisce in questo senso il carattere stesso della poesia, il suo essere, fin dai tempi antichissimi dei canti a batocco dei contadini e dei racconti dei cantastorie, significato, suono, ritmo.

Ma ciò che davvero colpisce è la sensibilità, l’appassionata semplicità, il sapore autentico delle “Dissestate rime / per vecchi brindisi/ d’uomini di fatica/” attraverso le quali Taverniti racconta i suoi stati d’animo, i volti, le storie, i luoghi della sua terra.

Nelle poesie di Taverniti i luoghi hanno un’anima anche quando “tutte le braccia sono ormai ferme / muti i canti delle vendemmie / e i sudati mietitori coi rimbrotti / dalla massaia più non pretendono / l’apro vino dalla verde borraccia”.
Nel giocare con le parole e con le rime egli non esita a scrivere “nel sacchetto del vomito / dell’aereo nella tempesta / così per dissimulare la paura / Parole senza cura”.

Il fatto è che Taverniti è una persona vera. Che scrive di persone vere. Di quelle che sarebbero balzate in piedi per applaudire la grande Anna Magnani che, al truccatore che la stava preparando per una scena, disse “Non mi togliere nemmeno una ruga. Le ho pagate tutte care”. Di quelle senza effetti speciali. Nel cuore, talvolta, soltanto un rimpianto. O una spina.

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