Decisione

Vedi anche
CYERT – MARCH – SIMON

Concetti e parole chiave
Comportamentismo – Garbage can – Incrementalismo – Modello Partecipativo – Modello Politico burocratico – Razionalità limitata – Scelta razionale

Spiegazione
Una decisione può essere assunta in molti modi.
Può essere data dal progetto consapevole di un attore razionale, e in questo caso sarà stata presa sulla base del modello decisionale sinottico; può essere il risultato contingente di un processo condizionato dai limiti soggettivi e oggettivi della razionalità umana e ci si riferirà in questo caso al modello della razionalità limitata; può rappresentare l’esito di mediazioni e accomodamenti tra attori partigiani e dunque riferirsi al modello decisionale incrementale; può essere il prodotto casuale dell’incontro tra problemi, soluzioni, partecipanti e occasioni di scelta e in questo caso ci si riferirà al modello decisionale del garbage can. E poi ancora può essere presa sulla base di scelte classificabili nell’ambito del modello comportamentista, di quello politico – burocratico, di quello partecipativo.
Le differenze che caratterizzano i sette modelli possono riferirsi a seconda dei casi ai soggetti abilitati a decidere, ai criteri principali di scelta, al tipo di razionalità, alle condizioni nelle quali si decide, al significato attribuito alla decisione, al tipo di organizzazione, all’analogia organizzativa proposto, al livello di attuazione della decisione.
Dato questo sfondo, è utile trattare in maniera più specifica ciascun modello.
Scelta razionale
Gli assiomi fondamentali sui quali si regge il modello della decisione razionale sinottica, il cui campo di applicazione per eccellenza è dato dalla teoria della O.S.L., sono nella sostanza due:
il primo afferma che fini già prefissati possono essere raggiunti utilizzando in maniera ottimale i mezzi a disposizione (dato che decidere vuol dire risolvere un problema è fondamentale mettere chi decide in uno stato di informazione perfetta);
il secondo prescrive la necessità che a comandare sia uno solo (ci sia un decisore unitario) dato che l’unità di comando assicura piena coincidenza dell’interesse individuale e collettivo, unifica gli scopi e i criteri valutativi.
Nell’ambito di questo modello la razionalità è intesa come razionalità orientata allo scopo (razionalità sostanziale), le decisioni vengono assunte secondo tecniche di elaborazione organizzate per fasi cronologicamente distinte:
la prima prevede l’identificazione e la gerarchizzazione degli obiettivi e dei valori;
la seconda la padronanza di tutti i mezzi atti a raggiungerli;
la terza la valutazione delle conseguenze connesse a ciascuna alternativa;
l’ultima la scelta dell’opzione che massimizza il risultato raggiungibile.
Razionalità limitata
Il modello decisionale della razionalità limitata si deve a SIMON che sviluppa, intorno alla variabile “decisione”, la tesi, già introdotta da BARNARD, che assegna ai comportamenti delle persone e non ai fini e alle funzioni proprie delle strutture la chiave di lettura fondamentale per comprendere il funzionamento delle organizzazioni.
Gli aspetti fondamentali del modello simoniano possono essere così sintetizzati:
1. sono gli uomini che, attraverso le loro decisioni, determinano il funzionamento delle organizzazioni;
2. per definizione tali decisioni non sono possono essere assunte in condizione di certezza dato che i soggetti agiscono sulla base di criteri di razionalità limitata che non permettono di avere una visione completa tanto delle alternative disponibili quanto delle conseguenze non prevedibili delle loro azioni;
3. le persone adattono costantemente le informazioni e le conoscenze che utilizzano per raggiungere uno scopo, il proprio sistema cognitivo, alle condizioni mutevoli che caratterizzano l’ambiente naturale esterno e ciò fa sì che le decisioni e le scelte che esse assumono non producano, di norma, disastri, nonostante siano assunte sulla base di visioni estremamente semplificate della realtà;
4. è attraverso procedure che consentono di assorbire la sua incertezza e di fare scelte il più possibile programmate, che il soggetto inserito in un contesto organizzato (cioè un sistema di programmazione e di coordinamento delle azioni degli individui finalizzato a rappresentare un modello semplificato della realtà che aiuti a comprenderla e ad affrontare al meglio l’incertezza) è in grado di assumere decisioni, tanto di routine quanto critiche, sulla base di un criterio tendente non alla massimizzazione dei fini ma a un soddisfacimento medio degli obiettivi e la cui prima funzione è identificata nel proprio perpetuarsi;
5. per questa via, l’organizzazione riesce a mantenere una propria unitarietà di decisione, a trovare comunque un accordo su percezioni, valutazioni e scopi, a soddisfare i suoi bisogni, ad adattarsi al proprio ambiente, a sopravvivere.
Comportamentismo
CYERT e MARCH sviluppano ulteriormente il quadro concettuale proposto da SIMON nell’ambito delle grandi imprese multiprodotto che operano in condizioni di incertezza e in mercati imperfetti.
Contestata la tesi propria dell’economia classica secondo la quale gli obiettivi dell’impresa sono dati dagli obiettivi dell’imprenditore (o in ogni caso da obiettivi formatisi in maniera consensuale), essi propongono la loro concezione dell’impresa come coalizione (e subcoalizioni) di individui e definiscono la decisione in quanto esecuzione di una scelta operata, in termini di obiettivi, su una serie di alternative in base alle informazioni disponibili.
Nello schema concettuale di CYERT e MARCH un’organizzazione economica è un sistema razionale flessibile che apprende dalla sua esperienza, può assumere numerosi stati, è soggetta a spinte e urti esterni di disturbo che non possono essere controllati, è condizionata dall’azione di variabili interne che si modificano sulla base di determinate regole di decisione.
Tutto questo fa sì che lo stato del sistema cambi proprio sulla base del combinato disposto dei disturbi esterni e di variabili di decisioni interne (dato uno stato esistente, il nuovo stato si determina a partire da un disturbo esterno e da una decisione) e che le regole di decisione che conducono a uno stato preferito in un determinato momento abbiano maggiori probabilità di essere adottate in futuro.
Incrementalismo
Il modello incrementale si deve a C.E. Lindblom, che imputa al modello sinottico non solo il difetto di trascurare le facoltà cognitive degli attori ma anche quello di adattarsi molto poco al carattere pluralistico dei sistemi democratici.
L’esistenza di regole formali (separazione dei poteri, più livelli di governo, authority, ecc.) e di situazioni di fatto (interessi organizzati, parti sociali, ecc.) fanno sì che nei confini della politica gli attori siano soggetti non solo alla razionalità limitata ma anche e soprattutto a processi di frammentazione, dato che il campo delle decisioni risulta popolato da più protagonisti, tutti di parte, autonomi nelle scelte e nel giudizio, liberi da ogni tipo di coordinamento sovraordinato, ma legati reciprocamente rispetto alla scelta. L’idea è in questo caso che:
si decide assieme;
l’esito della decisione è direttamente connesso alle dinamiche che coinvolgono i diversi attori;
questi ultimi tendono ad adattare i fini ai mezzi disponibili dato che non sono in grado di scegliere i mezzi sulla base di obiettivi dati.
Dato questo sfondo, a giudizio di Lindblom una decisione va misurata sulla base della sua capacità di determinare differenze rispetto allo status quo esistente. A differenze più piccole corrisponde una maggiore facilità di giudizio dei decisori, che procedono per comparazioni successive più che tentare di raggiungere una meta prefissata, mentre la valutazione della decisione dipenderà dall’accordo raggiunto tra i policy makers (coloro che hanno qualche influenza o interesse sulla posta in gioco).
Come appare evidente, nell’ambito del modello incrementale un criterio di giudizio di natura interattiva o politica sostituisce un criterio di tipo tecnico; l’arte dell’arrangiarsi (muddling through) sostituisce il calcolo razionale.
Secondo il suo ideatore, è questo approccio decisionale a garantire i diritti di libertà, a impedire la concentrazione del potere, a consentire in molte circostanze di decidere potendo contare su un miglior livello di informazione e una maggiore razionalità.
Politico – burocratico
L’immagine tipo che contraddistingue i diversi modelli politico burocratici è rappresentata dal gioco politico competitivo – cooperativo che ha come protagonisti molteplici decisori che occupano diverse posizioni gerarchiche.
Affinché ci si possa riferire a tale modello occorre che:
i decisori operino in un contesto di potere condiviso;
l’ambiente sia caratterizzato da incertezza circa ciò che bisogna fare, da necessità di fare qualcosa, da conseguenze cruciali per ogni cosa che viene fatta;
anche il non far niente sia una mossa del gioco;
la comunicazione sia una variabile decisiva;
ciascun partecipante possa e debba fare delle cose a seconda della sua posizione;
il gioco sia fatto di più sottogiochi contemporanei;
ciascuna mossa sia il risultato di compromessi, coalizioni, competizione confusione circa la vera faccia del problema;
ogni giocatore porti con sé il proprio stile di gioco e la sua esperienza.
Nella sostanza, nell’ambito dei modelli politico – burocratici il potere è la vera variabile indipendente; il risultato di una decisione dipende spesso dal potere e dall’abilità di chi la sostiene o si oppone ad essa; attraverso la negoziazione ciascun gioco viene avviato verso la risoluzione (decisione); si decide non in base alla competenza ma all’accesso politico.
Garbage can
Il modello decisionale del garbage can (cestino dei rifiuti) si deve a MARCH e Olsen, i quali conducono una lunga attività di analisi degli aspetti non razionali delle decisioni nelle organizzazioni alla scopo di dimostrare che ciò che appare caotico e casuale possiede una struttura logica nascosta e risponde ad una precisa esigenza funzionale.
Diversamente dai modelli della razionalità limitata ed incrementale, caratterizzati da incertezza, il modello garbage can è contraddistinto da ambiguità e confusione che, in quanto tali, non possono essere ridotte attraverso l’aumento delle informazioni e delle conoscenze disponibili.
Ciò determina secondo gli autori alcune conseguenze importanti:
gli attori non possono guidare razionalmente il processo decisionale, dato che gli scopi e le preferenze non possono essere definiti prima e indipendentemente dal processo stesso, ma prendono forma soltanto durante il corso d’azione nel quale essi si inoltrano (il processo fornisce la base sulla quale gli attori recitano la propria parte);
le attività e i compiti sono necessariamente ambigui e indeterminati;
le procedure e i modi di procedere sono fra loro mutuabili ed equivoci;
i partecipanti e gli attori impegnati nel processo entrano ed escono dalla scena in relazione al livello d’interesse che li lega ai problemi, cosicché anche la partecipazione risulta essere fluida e incostante.
Il fatto che non si tratti di un processo lineare fa sì che nella realtà anche queste variabili più che essere collegate da un ordine di sequenza (si parte da una criticità per arrivare, attraverso la definizione di una specifica procedura da parte degli attori coinvolti nel processo decisionale, a scoprire una soluzione pertinente), si incontrino con una modalità che assomiglia molto a quella del cestino nel quale si trovano ad essere mescolate specie diverse di rifiuti prive di legami tra di loro.
L’idea è insomma che anche nell’ambito del sistema sociale vengano depositate un numero ragguardevole di variabili (soluzioni potenziali, problemi latenti, attori rituali, opportunità, ecc.), che seguono il proprio corso in maniera indipendentemente fino a quando non intervengono fattori contingenti e temporali che favoriscono il loro incontro in un ordine di sequenza non necessariamente lineare e che rappresentano i criteri che regolano le scelte.
In particolare MARCH e Olsen individuano tre principali processi di sequenza decisionale:
nel primo la scelta finale adottata risponde a un problema, non importa se stabilito in partenza o sostituito nel corso del procedimento. Si tratta di un processo statisticamente poco frequente dato che sono poche le decisioni pubbliche che possono essere ricollegate a problemi chiaramente identificabili;
nel secondo la scelta non risponde affatto, o non risponde più, a un problema, che può essere stato perso di vista nel corso del procedimento oppure non essere stato mai evocato. In questo processo, molto più frequente del primo, la scelta si è compiuta proprio grazie al fatto di aver scartato qualunque problema;
nel terzo il problema è scartato, non vi è stata scelta finale, il processo si è arrestato per abbandono.
Partecipativo
Il modello partecipativo (partecipative decision-making) è marcatamente europeo, strettamente connesso al modello della democrazia industriale, muove dall’idea che la partecipazione sia una questione decisiva per le organizzazioni.
La domanda fondamentale alla quale tale modello cerca di rispondere non è “come scegliere” ma “con chi scegliere” e questo lo rendo per molti versi anomalo rispetto a tutti gli altri modelli fin qui analizzati.
Tra i diversi studi che sono stati realizzati a partire dalla fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 80 quello di Heller può essere classificato nell’ambito della Teoria della contingenza e si prefigge di mettere in evidenza le connessioni esistenti tra i diversi stili decisionali e tre gruppi di variabili come l’efficienza, l’utilizzo delle abilità e la soddisfazione sul lavoro.

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