Campi Flegrei

Ore 10.45.
Un sabato qualunque. Un sabato napoletano. Stazione di Campi Flegrei.
Un solo sportello aperto. La “biglietteria” automatica rotta. 8 persone in fila. La maggior parte deve fare biglietti per i giorni successivi. Cerca, giustamente, le combinazioni di viaggio più comode e convenienti.
I minuti passano. E il nostro treno parte alle 11.00.
Cominciamo a domandarci perché.
Perché non c’è uno sportello dedicato a chi sta per partire?
Perché la “macchinetta” non viene riparata?
Perché a Napoli, oggi come 80 anni fa, “i congegni tecnici sono quasi sempre rotti: soltanto in via eccezionale, e per puro caso, si trova qualcosa di intatto. Se ne ricava a poco a poco l’impressione che tutto venga prodotto già rotto in partenza”?
Ore 10.52.
Allo sportello a fianco si materializza un altro addetto alla biglietteria.
Serafico. Il bicchierino di plastica con il caffè in una mano. Carte varie e chiavi nell’altra.
Si sistema. Annuncia che rispettando l’ordine della fila ci si può accomodare per fare il biglietto.
Due persone in coda schizzano per guadagnare posizioni.
Non passeranno.
Facciamo un blocco che avrebbe fatto felice il nostro vecchio allenatore di basket.
Ore 10.54.
I due ragazzi davanti a noi si girano.
Noi dobbiamo partire il mese prossimo. Faccia pure il suo biglietto.
Ore 10.58.
Siamo sul treno. Stress e adrenalina sono al massimo. Però siamo “riusciti” a fare il nostro biglietto.
Questa è una città senza futuro.

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