Riparare è giusto

Non so voi, ma io per molti anni ho pensato che l’ideatrice del principio di riparazione fosse mia madre. Come tantissime altre mamme in quei “favolosi” anni 60, per lei il rattoppo, l’aggiusto, la riparazione erano una filosofia prima ancora che una necessità. Più avanti sarebbe venuto il tempo dell’usa e getta ma nel frattempo molti di noi, grazie ai sacrifici dei papà operai che volevano il figlio dottore, avevano conosciuto il grande John Rawls e imparato che le ineguaglianze sono giustificate soltanto se producono benefici compensativi per i componenti meno avvantaggiati della società e sono collegate a cariche e posizioni aperte a tutti (principio di riparazione).  E che per questo sarebbe necessario che i decisori decidano come se non avesser nessuna conoscenza (velo di ignoranza) circa la razza, il genere, il censo, ecc. che ci sono stati assegnati dalla lotteria sociale.

Pura teoria? Niente affatto. In particolare se si usa “teorico” come sinonimo di “astratto”. Nella realtà senza il principio di riparazione la “società dell’accesso”, così tanto richiamata in letteratura, nei documenti ufficiali dei governi nazionali ed europei e così poco perseguita nella concreta attività dei governi, semplicemente non esiste.

Che fare allora? Naturalmente tante cose. Qui c’è lo spazio per una: creare le condizioni affinchè tutti possano imparare. Sempre. Perché è questo il modo più realistico per evitare che chi non per propria colpa si ritrova indietro veda aumentare la distanza che lo separa da chi è integrato. E perché il sapere trasforma il lavoro, i modi di vivere, i modi di essere e di comunicare.

Come farlo? Ad esempio facendo della formazione continua il principale strumento di gestione delle trasformazioni del lavoro (suggerisce qualcosa il fatto che il Rapporto “The universum graduate survey 2007”, questionario a risposta multipla, indica che il 61% dei laureati europei considerano la “formazione e l’aggiornamento gratuiti” il migliore benefit?). Favorendo  la costruzione di legami sociali fondati sugli scambi di conoscenza. Dando valore al merito. Facendo dei processi di apprendimento lungo tutto il corso della vita l’asse strategico attorno al quale ripensare il modello sociale nei paesi cosiddetti avanzati.

Cose da non credere. Migliorando le abilità e le capacitazioni delle persone crescerebbero anche la conoscenza capitalizzata e la competitività, l’economia e le imprese. Provare per credere.

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