Pablo Neruda

[Siam Molti]

Di tanti uomini che sono, che siamo,
non posso trovare nessuno:
mi si perdono sotto il vestito,
sono andati in altre città.

Quando tutto è preparato
per mostrarmi intelligente,
lo sciocco che porto nascosto
prende la parola nella mia bocca.

Altre volte mi addormento in mezzo
alla società distinta
e quando cerco in me il coraggioso
un codardo che non conosco
corre a prendere col mio scheletro
mille deliziose precauzioni.

Quando arde una casa stimata
invece del pompiere che chiamo
si precipita l’incendiario
e quello son io. Non ho misura.
Che devo fare per distinguermi?
Come posso riabilitarmi?

Tutti i libri che leggo
celebrano eroi fulgenti
sempre sicuri di se stessi:
muoio di invidia per loro,
e nei film di venti e pallottole
resto a invidiare il cavaliere
resto ad ammirare il cavallo.

Ma quando richiedo l’intrepido
mi esce il vecchio pigrone,
così io non so chi mi sia,
non so quanti sono o saremo.
Mi piacerebbe suonare un campanello
e tirar fuori il me vero,
perché se ho bisogno di me non devo scomparirmi.

Mentre scrivo sono assente
e quando torno son già partito;
vediamo se all’altra gente
succede quanto a me succede,
se son tanti come son io,
se assomigliano a se stessi
e quando l’avrò stabilito
apprenderò così bene le cose
che per spiegare i miei problemi
vi parlerò di geografia.

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