Michele, Zoff e il lavoro ben fatto

Caro Luca, questa mattina il mio amico Michele Kettmajer mi ha inviato una mail intitolata “Un abbraccio amico mio” con l’estratto di una intervista a Dino Zoff per i suoi 80 anni, questo estratto:

A casa la colazione e il pranzo di un piccolo-grande Dino che doveva diventare «alto e forte». Raccontaci come tua nonna andava giù di uova.
Ero un po’ delicato nel mangiare, non mi piacevano tante cose e non c’era tantissimo una volta nelle dispense di casa. Allora la nonna ha cominciato con le uova e per alcuni anni viaggiavo con due o tre uova al giorno. Energia ce n’era e si consumava tanto. La gioventù dei miei tempi, è brutto parlare dei “miei tempi”, però nei paesi, c’erano spazi e possibilità di gioco. Non esisteva mica la scuola calcio. Si giocava a pallone tra amici, anche per sei ore di fila, da fine scuola fino a cena.
E a casa che dicevano?
Mio padre, da buon friulano diceva sempre «bisogna lavorare bene. Non ha importanza che lavoro fai, l’importante è lavorare bene». Poi non si parlava molto, certe cose erano “scritte” dappertutto, anche se non erano scritte. Per dire che non c’erano scuse su niente. Quando giocavo in Serie A, presi un gol e mio padre mi disse: «Ma come mai quel gol lì?». Io risposi: non mi aspettavo che tirasse. E lui secco: «Ma perché, cosa fai, Il farmacista? Se non te lo aspetti te che fai il portiere…». Aveva ragione, lavorare bene.”

È tutto figlio mio, sono stato contento, e te lo volevo dire.

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