Dieci, cento, mille cittadini reporter che adottano la metodologia Timu e raccontano l’Italia attraverso il lavoro

Ora, se dicessi che ad Alessio Strazzullo, Cinzia Massa and me non fa piacere raccontare l’Italia attraverso il lavoro, avere tutti questi riscontri positivi (per ora più su Facebook che su Timu, ma piano piano anche questo cambierà), vedere l’interesse che cresce attorno all’inchiesta non fa piacere, non direi una cosa falsa, direi una cosa assurda. Per quanto mi riguarda, me la ricordo ancora quella gelida sera di aprile a Perugia, in occasione dell’international jornalism festival, quando ho bombardato Michele Kettmaier prima con Bella Napoli e poi con l’idea dell’inchiesta sull’Italia che nonostante le difficoltà e i problemi mette passione e impegno in quello che fa, trova soddisfazione nel  farlo bene a prescindere, dà senso e significato alla propria vita.
Ci sono delle parole che fanno da colonna sonora alle nostre vite, proprio come le canzoni,  lavoro è una di queste. Se avete letto Bella Napoli lo sapete già, altrimenti ve lo dico adesso, che per quanto mi riguarda cominciò con la distinzione che mi fece papà tra “il lavoro preso di faccia” e “il lavoro fatto ‘a meglio ‘a meglio”, intendendo nel primo caso il lavoro fatto con rigore e passione, nel secondo invece no, poi è continuato con i miei studi all’università, e poi con il mio impegno nella Cgil, e poi con i miei studenti all’università e con l’idea che “puoi fare il caffé, cucinare la pasta e fagioli o progettare il centro direzionale di Sydney, l’approccio deve essere sempre lo stesso, fare bene quello che devi fare” via via fino all’incontro con lo spazziono londinese di Sennett che il lunedì mattina ripercorre a ritroso la strada che ha polito e si copiace di come l’ha pulita bene, all’idea che “Ciò che va quasi bene … non va bene” conme era scritto nelle botteghe artigiane di Sarno fino a qualche anno fa, all’incontro con la biografia di Steve Jobs e con la frase in cui Walter Isaacson scrive “Come mi ha raccontato Jobs accarezzando le assi della staccionata, suo padre gli aveva inculcato un concetto che gli era rimasto impresso: era importante, gli aveva detto, costruire bene la parete posteriore di armadi e staccati, anche se rimaneva nascosta e nessuna la vedeva. Gli piaceva fare le cose bene. Si premurava di fare bene anche le parti che non erano visibili a nessuno”.
Ora che vi ho detto tutto questo fatemi aggiungere però che tutto questo, che per Alessio, Cinzia and me è assolutamente entusiasmante, non è la cosa più importante, nel senso che “Le vie del lavoro“, così come tutte le inchieste Timu, non è nata per farvi vedere come siamo bravi e che belle storie sappiamo raccontare, è nata per coinvolgervi, per promuovere un certo modo di fare inchiesta partecipata, per fare in modo che diventiamo in 10, in 100, in 1000, se vi piace anche in 10ooo anche se non l’ho messo nel titolo che mi sembrava esagerato, a fare inchiesta adottando la metodologia Timu, nel caso specifico a raccontare l’Italia attraverso il lavoro. Sì poerché raccontando storie ci prendiamo cura di noi, diamo senso al trascorrere del tempo, condividiamo cose fatte e da fare, contribuiamo a cambiare la cultura recente di questo Paese, costruiamo pezzetti di futuro migliori per noi, per le nostre famiglie, per le genmerazioni che verranno.
State ancora qui? Aprite la pagina Timu, iscrivetevi, e contribuite con le vostre idee, i vostri video, i tesi, le immagini, gli audio alla vostra inchiesta.
Buona partecipazione.

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