Gente di Secondigliano | Nennella

Nennella penso di averla vista l’ultima volta che aveva 7 – 8 anni. La volta precedente neanche la ricordo più. Per genitori due splendide persone. Lui con i suoi turni in fabbrica, lei ogni mattina lì, nel bar di fianco alla salumeria di don Alfonso.
Gli anni si sono succeduti ad uno ad uno, poi a dieci a dieci, ma io non ho mai smesso di parlare di Nennella. Non che ci fosse una ragione. Così,  come tributo alla Secondigliano che non mi sono mai voluto togliere di dosso.
L’amicizia con il fratello Rosario. La straordinaria gentilezza del padre, don Gaetano. Gli inviti domenicali a pranzo. Le mangiate  maccheroni, ragù, carciofi fritti, contorno, frutta e per finire “ò spasso”. Nennella che a due anni mangiava piattoni di pasta che adesso a “noi” del Vomero ci bastava per due e volendo anche per tre.
Luca prima e Riccardo poi Nennella l’hanno conosciuta senza averla mai vista. Era lì con noi ogni volta che a tavola facevano i capricci. “Se qui ci fosse stata Nennella”. “Se vi vedesse Nennella”. Fino al fatidico “papà ce fatto ’a palla tu e Nennella”.
Da una settimana Nennella al gioco della vita non ci gioca più. A neanche quarant’anni le è bastata la sua voglia matta di volare giù.
Hanno dato la colpa alla depressione. Acqua. A Secondigliano per morire ci vuole di meno, di più.  Rassegnazione? Ancora più acqua,  se Nennella avesse  saputo cos’è la rassegnazione sarebbe ancora qui. Disperazione? Poteva essere, se però non avesse avuto quel figlio di dieci anni da lasciare solo. Liberazione. Si, liberazione. Mi sembra la parola giusta. Liberazione.

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