No, a Maronn ’e ll’Arco no

È stata la mia giovane amica Maria Clara Esposito a lanciare, su Facebook, il grido di dolore: “No, a Maronn ’e ll’Arco no”. E all’amica che le scrive “Alle prese con le feste di paese? Io sono stata svegliata dalla banda per la festa di un certo Sant’Antuono!”, risponde “non si tratta di festa di paese … magari! c’è questa specie di setta di “devoti” della Madonna dell’Arco in tutta la provincia di Napoli, che da gennaio fino a Pasqua, ogni domenica mattina girano per le strade della città urlando e strepitando canti e preghiere che dovrebbero invocare la Madonna. La cosa brutta è che si fingono fedeli, ma vanno solo a caccia di soldi. È un fenomeno curioso e avallato da cammorristi e delinquenti locali. Pensa che tra i doni che si fanno alla Madonna spesso ci sono siringhe e pistole d’oro”.
Immagino che voi vi sareste scandalizzati, incazzati, indignati. Io  no. Io ho pensato Maronn, e mò chi c’ho dice a Maria Clara. Chi le dice cosa? Che papà è stato fujente, cioè devoto della Madonna dell’Arco, uno di quelli che andava in giro, scalzo, vestito di bianco, fascia azzurra, statua della Madonna in spalle, che urlava, strepitava canti e preghiere, agitava il fazzoletto bianco con le monete per invogliare i passanti a lasciare il proprio obolo alla Madonna. Chi le dice di quella vecchia foto nella quale siamo ritratti io, Antonio e Gaetano, Nunzia non ancora ancora nata, mamma e la nonna nella parte posteriore di una vecchia Ape Piaggio che papà si era fatto dare in prestito, con i cappellini con in punta la spilletta della Madonna dell’Arco, sorridenti, felici di aver visto la festa del lunedì in Albis al santuario della Madonna dell’Arco, orgogliosi del fatto che quando papà era più giovane anche lui era entrato vestito di bianco in chiesa e si era buttato faccia a terra. Chi le dice che a casa nostra quando papà metteva dopo il mannaggia la Madonna dell’Arco (non ne vado fiero, of course, ma la verità è che la bestemmia da noi era di casa; talvolta ho pensato fosse “solo” un intercalare, altre volte un modo per invocare e manifestare affetto ai santi, altre volte addirittura il pretesto per creare situazioni paradossali, come quando papà giocava a carte – ho detto giocava, dunque niente soldi in palio -, scopa a 11 e pizzico a 21, con il suo amico Cosimo Pellecchia e ad ogni pigliata dell’altro bestemmiava avendo in risposta un immediato “sempre sia lodato”) era il terrore, perché significava che papà era davvero arrabbiato nero e ci avrebbe in ogni caso punito, fosse anche solo per l’oltraggio che aveva fatto alla Madonna di cui era devoto. Chi le dice della mia gioia quando, dopo le abiure della mia piccola grande rivoluzione culturale post 68, studiando antropologia all’università, ho potuto ridare dignità, senso, cultura a una parte della mia vita che tenevo accuratamente nascosta.
Lo so che vi sembra troppo, ma sapete com’è, a pensarlo non è come a scriverlo, basta un attimo. E dopo? Dopo mi sono detto che Maria Clara ha ragione. Mi sono sentito triste. Mi sono detto per fortuna che papà questa se l’è risparmiata. Poi mi sono come ribellato: No, a Maronn ’e ll’Arco no.
Il controllore mi ha guardato. Ho messo in tasca l’Iphone. Ho assunto l’espressione “aggiate pacienza”. Gli ho dato il biglietto. L’ha timbrato e ha girato le spalle, lo sguardo fisso modello “ma vedite nu poco”. Per fortuna la fermata dopo era la mia.

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